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Date l'ultimo saluto a Benvenuto – Mai seduto





 

– Che fai, parli ai tuoi stracci?

Una guardia notturna si era fermata alle spalle di Benvenuto che tentava di svegliare Bananito.

– Agli stracci? – ripete Benvenuto per guadagnare tempo.

– Ma sì, ho sentito benissimo che stavi dicendo qualcosa a quella calza scompagnata. O forse ne contavi i buchi?

– Debbo aver parlato senza accorgermene, – mormorò Benvenuto. – Sono tanto stanco, sapete. Ho girato tutto il giorno spingendo questo carretto. Alla mia età, è dura…

– Se siete stanco, riposatevi, – disse la guardia, pietosamente, a quest'ora chi volete che abbia stracci da vendere?

– Mi siedo subito, – disse Benvenuto.

E si accoccolò di nuovo su una delle stanghe.

– Se permettete, – disse la guardia, vorrei sedere anch'io un momento.

– Qui c'è un'altra stanga, accomodatevi.

– Grazie. Sapete, anche a fare la guardia notturna c'è da stancarsi. E pensare che io avrei voluto fare il pianista: si suona sempre seduti, si vive in mezzo alla buona musica. Ce l'avevo messo anche nel tema, a scuola. «Che cosa farete da grandi?», diceva il tema. E io: «Da grande farò il pianista, girerò il mondo dando concerti, riceverò molti applausi e diventerò celebre». Invece non sono diventato celebre nemmeno in mezzo ai ladri: non ne ho ancora preso uno solo. A proposito, voi non sarete mica un ladro, no?

Benvenuto lo rassicurò con un cenno del capo. Avrebbe voluto dire qualcosa alla guardia notturna per consolarla della sua cattiva sorte, ma non ne aveva più la forza. Sentiva che la vita lo abbandonava di minuto in minuto, ma non poteva far altro che rimanere lì, seduto, ad ascoltare.

La guardia continuò per un pezzo, sospirando, a parlare del suo lavoro, del pianoforte che non aveva mai posseduto, dei suoi bambini.

– Il maggiore ha dieci anni, – diceva, – e l'altro giorno anche lui a scuola ha svolto i! suo bravo tema. I maestri lo danno sempre, e dice sempre a quel modo: «Che cosa farai da grande?». «Farò l'aviatore, – ha scritto mio figlio, – e volerò nella luna con uno sputnik». Io glielo auguro proprio, ma tra un paio d'anni dovrò mandarlo a lavorare, perché la mia paga non basta alla famiglia. È difficile, vero, che possa diventare un esploratore dello spazio?

Benvenuto fece cenno di no: voleva dire che non era difficile, che niente è impossibile, che non bisogna mai perdere la speranza di realizzare i propri sogni. Ma la guardia non vide nemmeno il suo cenno. Lo guardò, e gli parve che dormisse.

– Povero vecchio, – mormorò, – era stanco davvero. Su, continuiamo il nostro giro.

La guardia si allontanò, in punta di piedi85, ma Benvenuto rimase seduto e non si muoveva. Ormai non aveva più la forza di alzarsi.

«Aspetterò così, – sospirava dentro di sé, – aspetterò seduto. Ho fatto tutto quello che potevo, Bananito è in salvo. Anche alla guardia, poveretta, ha fatto bene potersi sfogare un po' con me…»

I suoi pensieri diventavano sempre più lontani e confusi… Di lontano, lontano, lontanissimo, gli parve di sentir giungere un canto, una specie di ninna‑nanna. Poi non la sentì più.

Quella ninna‑nanna, amici miei, Benvenuto non se l'era sognata. Era successo che Gelsomino, nel sonno, si era rimesso a canticchiare, secondo il suo solito.

La sua voce scese per le scale, uscì nel vicolo e svegliò Bananito, che sporse il naso dalla montagna di stracci sotto cui era sepolto.

– Benvenuto! – chiamò, – Benvenuto, dove siamo? Che succede?

Ma Benvenuto non poteva più rispondergli.

Il pittore balzò dal carrettino, scosse due o tre volte il vecchio: la sua mano era fredda gelata.

La voce di Gelsomino continuava a scendere dolcemente le scale, usciva nel vicolo, faceva il giro del carrettino cantando la sua dolcissima ninna‑nanna.

Bananito corse di sopra, svegliò Gelsomino, tornarono insieme sulla strada.

– È morto! – esclamò Gelsomino. – È morto per colpa nostra: ha speso le sue ultime forze per noi, mentre noi dormivamo, tranquilli, senza pensare a nulla.

In fondo alla strada si riaffacciò la guardia notturna di poco prima.

– Portiamolo in casa sua, – sussurrò Gelsomino.

Ma non ci fu bisogno che Bananito lo aiutasse: ormai Benvenuto era diventato leggero come un bimbo, e quasi Gelsomino non se lo sentiva sulle braccia.

La guardia rimase qualche istante a contemplare il carretto.

– Il vecchio cenciaiolo deve abitare da queste parti, – disse. – Dovrei fargli la multa perché ha lasciato il carretto in mezzo alla strada. Ma era tanto un bravo vecchio: fingerò di essere passato da un'altra parte.

Povero Benvenuto, in casa sua non c'era nemmeno una sedia per farlo sedere dopo morto: dovettero distenderlo sul pavimento, con un semplice cuscino sotto la testa.

Il funerale di Benvenuto fu fatto due giorni più tardi, quando erano già successe tante cose che voi non sapete ancora e che apprenderete dai prossimi capitoli. C'erano migliala e migliala di persone, e nessuno fece un discorso, ma tutte quelle persone avrebbero potuto farne uno, per raccontare una bella azione del cenciaiolo.

Fu a quel funerale che Gelsomino cantò per la prima volta senza rompere nulla: la sua voce era forte come prima, ma era diventata

più dolce, e chi l'ascoltava si sentiva diventare più buono.

Prima di quel giorno, come vi dicevo, accaddero ancora tante cose.

Innanzitutto Gelsomino e Bananito si accorsero che Zoppino mancava. Nella confusione e nella tristezza del momento non ci avevano fatto caso.

– Stava con me, sul carretto! – esclamava Bananito. – Certo, non potevo vederlo, in mezzo a tutti quei cenci; ma figurati che a un certo punto l'ho sentito perfino starnutire.

– Si sarà ricacciato in qualche guaio, – disse Gelsomino.

– Forse è tornato al manicomio per liberare zia Pannocchia e Romoletta.

– Tutti fanno qualcosa, – mormorò Gelsomino, avvilito, – io solo non faccio nulla. Io sono capace soltanto di far crollare i lampadari e di spaventare la gente.

Così disperato nessuno l'aveva mai visto. Eppure fu proprio in quel momento che gli venne un'idea formidabile, splendente come una stella di prima grandezza.

– Ah, ah! – esclamò ad un tratto. – Vedremo se non so far nulla.

– Dove vai? – domandò Bananito, vedendolo alzarsi e infilarsi la giacca.

– Questa volta tocca a me, – rispose Gelsomino. – Tu non ti muovere: le guardie ti cercano. Avrai mie notizie. E che notizie!

 

Date: 2015-11-13; view: 292; Нарушение авторских прав; Помощь в написании работы --> СЮДА...



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